Il Presidente del Consiglio Letta nel discorso di insediamento in Parlamento aveva posto la soluzione del problema “esodati” quale priorità del programma di Governo con queste parole “In particolare con i lavoratori "Esodati" la comunità ha rotto un patto, e la soluzione strutturale di questo problema èun impegno prioritario di questo governo!”, ribadendolo ancora con queste parole “affronteremo il problema terribile degli esodati, perché lo Stato non ha rispettato un accordo preso con loro e occorre ristabilire un clima di fiducia nel Paese" (Reuter 30/8/2013).
Con il discorso al Parlamento per la prova di fiducia il 1/10/2013 la questione esodati è completamente sparita, senza alcuna ragione!
Le parole del Ministro Giovannini in Commissione Lavoro l’8/10/2013 fanno ritenere che questo esecutivo abbia tradito il suo programma!
Il perché del dramma “esodati”:
FORMISANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
— Per sapere –
premesso che:
Nel silenzio dei media, passano i governi ma gli esodati restano: i governi sono “solo chiacchiere e distintivo”?
In data 9 maggio u.s., reiterandolo il 16 giugno, la Rete dei Comitati di Esodati, Mobilitati, Contributori Volontari, Donne Esodate Mobilitate Licenziate (ESMOL),“Quindicenni”, Esonerati, Fondi di Settore e Licenziati aveva fiduciosamente richiesto al Governo di essere ascoltata sulla questione dei cosiddetti “esodati” per portare il proprio contributo di conoscenza profonda del problema ed, essendo diretta parte in causa, esprimere le giuste rivendicazioni di coloro che vivono già oggi nell’angoscia e nella disperazione.
A nessuna delle due richieste il Governo ha dato alcun riscontro!
La Rete, fin dall’approvazione della Riforma Fornero sulle pensioni, ha cercato di interloquire in modo propositivo con i Partiti, le Istituzioni, i Sindacati ed i Media, dimostrando ormai una inconfutabile competenza sulla materia, come riconosciuto da tutti coloro con cui è riuscita ad interagire.
Evidentemente o il Governo è sordo al grido dei figli con cui ha “rotto un patto” oppure teme il confronto!
Se ciò era comprensibile per il governo Monti, in quanto autore del “delitto” in danno di centinaia di migliaia di famiglie, non si spiega però per il Governo Letta che ha evidenziato nel suo programma la questione “Esodati” come priorità da risolvere.
Abbiamo ricevuto dalla Rete dei Comitati degli esodati un articolo e un comunicato stampa che pubblichiamo con l'evidenza di sempre.
La gravità del problema è ben nota alla stragrande maggioranze delle forze politiche e, anche, al Presidente del Consiglio che, non a caso, nel programma presentato alle Camere ha considerato la questione assolutamente prioritaria.
Però, giustamente, gli esodati sono in fermento. Vedono che i mesi passano e non vengono adottati provvedimenti concreti.
Sanno bene che ci sono partiti di governo per i quali contano solo le promesse elettorali di Berlusconi.
La situazione è molto grave e può evolvere in chiave drammatica. Per chi, dopo avere lavorato anni e anni, si ritrova senza stipendio e senza pensione a causa di una riforma all'insegna della superficialità e dell'incompetenza è un insulto sentir dire che il primo problema del Paese è l'IMU prima casa.
L'Esecutivo deve tornare alle priorità vere, a quelle del discorso programmatico. Se il PDL non è d'accordo, deve essere costretto a dirlo apertamente. Se i berlusconiani ritengono che gli esodati, i disoccupati, i giovani in cerca di prima occupazione, le aziende sull'orlo del fallimento possono aspettare perché le priorità sono altre, devono prendere una posizione chiara.
Poi saranno gli italiani a giudicare (Ettore Nardi)
Torna a far sentire la sua voce la Rete dei Comitati dei cosiddetti “esodati” con un duro Comunicato (pubblicato in questa pagina) in cui rende noto che il Governo, nonostante ben due fiduciose richieste di confronto per la soluzione dell’enorme dramma continua a latitare.
La preoccupazione evidente, purtroppo incoraggiata dal comportamento del Governo, è che si ripeta nuovamente il copione recitato nella passata legislatura sulla questione, laddove il Parlamento, ed in particolare la Commissione lavoro all’unanimità, aveva approvato la Proposta di Legge 5103 per l’avvio della soluzione del dramma “esodati” ed il Governo senza alcun pentimento, anche con lo strumento della Ragioneria dello Stato, riuscì a bloccare la norma di salvaguardia, lasciando nel dramma le vittime da esso generate.
Ancora una volta la Corte Costituzionale si è confermata il più sicuro presidio di libertà del popolo italiano. I giudici di palazzo della Consulta, con una sentenza che non può non essere definita storica, hanno “dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 co. 1 lett. b della legge 20 maggio 1970 n. 300 (cosiddetto Statuto dei lavoratori) nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.
La sentenza pone fine a un sistema di relazioni sindacali antidemocratico e anticostituzionale che ha trovato la massima espressione nella espulsione della FIOM, il sindacato di maggioranza, dalle aziende del Gruppo Fiat, con l’esclusione dello stesso da ogni attività sindacale.
Il problema non è, ovviamente, se essere d’accordo o meno con l’azione sindacale della FIOM che è certamente discutibile, ma è la libertà dei lavoratori di decidere da quale sindacato farsi rappresentare.
Questa libertà era stata soppressa dalla modificata formulazione dell’art. 19 che aveva, di fatto, conferito alle aziende il potere di scegliersi le controparti con le quali stipulare i contratti e alle quali attribuire tutte le prerogative e i poteri riconosciuti dall’ordinamento alle Organizzazioni sindacali.
Un obbrobrio giuridico, in base al quale un sindacato, per poter esistere, doveva sottoscrivere i contratti, anche se imposti dalle controparti e contrastanti con le istanze dei propri associati.
Una mostruosità giuridica che ha inquinato i rapporti fra i datori di lavoro e le organizzazioni dei lavoratori e che è alla radice di tanti guasti della nostra economia.
Dopo la pubblicazione delle proposte sul lavoro e sulla staffetta generazionale abbiamo ricevuto moltissimi contributi, articoli, lettere, di nostri collaboratori e lettori, che volevano esprimere le loro valutazioni sul tema.
Pubblichiamo uno degli interventi più significativi (e.n.)
I figli sono partiti peggio dei padri con lavori precari rispetto ai lavori sicuri e stabili e finiranno purtroppo ancora peggio al momento di messa in quiescenza dal lavoro.
Infatti, come noto, siamo passati ai fini del calcolo della pensione dal sistema retributivo a quello contributivo. Il che significa che in luogo del calcolo degli ultimi dieci anni di lavoro, si applicherà una percentuale di reddito pensionistico sulle reali somme percepite e versate in un intero arco di tempo di lavoro. Le conseguenze sono evidenti. Basti pensare che oggi un giovane quando è fortunato inizia a lavorare verso i trenta anni con lavori ad intermittenza e quindi con bassi tenori retributivi che si ripercuoteranno sul calcolo finale previdenziale.
[I documenti che i Comitati degli esodati hanno consegnato alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati sono pubblicati nella sezione Download a disposizione di tutti gli interessati - Per consultarli cliccare sulla maschera in alto della prima pagina alla voce Download - NdR]
La Rete dei Comitati degli esodati ha avuto un incontro informale con la Commissione Lavoro della Camera il 16 maggio scorso. Su quanto detto nel corso della discussione è stato redatto un resoconto che siamo lieti di pubblicare integralmente, in quanto dal dibattito emergono delle ipotesi di soluzione per questo gravissimo problema creato dal precedente ministro del Welfare Elsa Fornero.
Al resoconto sono allegati una serie di documenti di approfondimento che pubblicheremo nei prossimi giorni (ettore nardi).
L'incontro, di carattere “informale”, è iniziato alle ore 14,00 ed è durato circa 2 ore e 15. Per la Commissione Lavoro erano presenti, oltre al Presidente Damiano che ha presieduto l’incontro, una trentina di Parlamentari di tutte le forze politiche rappresentate in Commissione; tra gli altri i Deputati Gnecchi, Fedriga, Polverini, Rostellato, Airaudo, Piccolo, Fontana, Rizzetto, Bellanova, Cominardi, Ciprini, Di Salvo, Maestri, Martelli, Bechis, Giacobbe, Maestri, Tripiedi, Miccoli, Gregori.
Per i “Comitati in Rete” erano presenti Angelo Moiraghi, Marta Pirozzi, Salvatore Carpentieri, Antonio Perna, Ricardo Letizia, Daniele Martella, Giovanni Zappalà, Annamaria Aulisio, Claudio Crotti, Alessandro Cremonesi, Claudio Nigro, Giuliano Colaci, Enzo Cozzolini e Marcello Luca. Oltre ai rappresentanti dei “Comitati in Rete” erano presenti anche Luigi Costanzo e Giuseppe Costamagna del “Comitato Lavoratori in Mobilità ma senza pensione” di Torino e Pasquale Gianmarco, un lavoratore del “settore di macchina” delle Ferrovie . Era inoltre presente Armando Rinaldo, rappresentante di ATDAL.
I Comitati (dei mobilitati, contributori volontari, licenziati, fondi speciali, cessati con accordi) aderenti alla Rete hanno incontrato giovedì 16 maggio, su invito del Presidente della Commissione Lavoro della Camera on. Damiano, una ampia rappresentanza parlamentare sul tema delle salvaguardie necessarie da adottare. L’audizione era informale, ma ha avuto una notevole valenza.
I singoli Comitati della Rete, ricordando preliminarmente che non era stato possibile portare avanti la PDL 5103 per l’improvvisa fine della passata legislatura e che sono riproposte ora le medesime istanze dai parlamentari Gnecchi-Damiano e dall’ on. Fedriga, hanno esposto le proprie specificità (i singoli interventi ed il resoconto saranno disponibili su questo giornale nei prossimi giorni), coerenti con la posizione univoca approvata dai Comitati, che prevede concettualmente la salvaguardia di tutti coloro che, maturando il requisito pensionistico con le previgenti norme entro un ragionevole lasso di tempo dall’approvazione della riforma Fornero, alla data del 31/12/2011 risultavano non occupati al 31.12.2011 per avvenuta risoluzione contrattuale a qualsiasi titolo, oppure che avevano entro quest’ultima data sottoscritto accordi collettivi o individuali che come esito finale prevedevano il successivo licenziamento o per effetto dei quali era già stata ricevuta comunicazione di licenziamento.
Da esponenti dei Comitati Esodati abbiamo ricevuto commenti critici sugli orientamenti in merito alla riforma delle pensioni del ministro del Welfare Enrico Giovannini e dell’on. Cesare Damiano, esponente del partito Democratico e presidente della Commissione Lavoro Pubblico e Privato della Camera dei Deputati.
Il tema, come tutti sappiamo, è molto complesso e il dibattito sulle possibili soluzioni, dopo l’infausta era Fornero, è appena agli inizi.
I contributi, come quelli riportati in questo spazio sono importanti, sia sul piano politico, perché consentono di far conoscere al Parlamento e al Governo le opinioni e le osservazioni dei diretti interessati, sia sul piano tecnico, perché evidenziano aspetti del problema che potrebbero sfuggire agli esperti, o presunti tali, di matrice ministeriale o parlamentare.
Saremo lieti di pubblicare altri contributi che dovessero esserci inviati.
(Ettore Nardi)
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I commenti sono in neretto e, se inseriti all’interno di un intervento, in parentesi quadre
Pensioni: positiva la proposta del Ministro Giovannini | scrive Cesare Damiano
[NOI NON SIAMO D'ACCORDO con Cesare Damiano, il PD e il Ministro Giovannini (nota del commentatore)]
Il dramma di tante famiglie, prodotto dalla pesantissima “manovra” Fornero (non è una Riforma!) sulle pensioni dei Lavoratori dipendenti (con ben 3 precedenti dal luglio 2010), era assolutamente prevedibile fin da subito. Dilungarsi sull’evidenza di questo dato di fatto, ricordando puntigliosamente quanto emerso oramai in maniera chiara, è qui superfluo. Ancor più superfluo perciò ricordare il comportamento tenuto ostinatamente ed arrogantemente sia in sede Parlamentare sia nelle sue esternazioni dal Ministro Fornero. La stampa e gli atti parlamentari stanno là a dimostrarlo e la inchiodano alle sue enormi responsabilità! Uno Stato democratico e di diritto non può permettersi tutto ciò, ed è davvero scandaloso che, dopo ben 18 mesi, non sia stata trovata una soluzione definitiva e completa e si continui con parole inutili e con dichiarazioni inconcludenti.
Guardiamo le dimensioni del disastro. L’INPS parla di 390.200 soggetti colpiti, attenendosi però alle categorie “circoscritte” arbitrariamente dal SalvaItalia. Sono da aggiungere almeno i “normali” licenziati: aziende fallite o in crisi che non adottano ammortizzatori, ma creano semplicemente la categoria dei “disoccupati”.
Il tema della previdenza pensionistica viene distorto strumentalmente ed artatamente da chi vorrebbe portarla nell’ambito esclusivo del settore privato a tutto vantaggio delle Assicurazioni e della finanza, ovvero dei soliti noti, e dalla Politica che ha necessità di coprire l’evasione contributiva dello Stato come datore di lavoro per l’INPDAP. Per osservare correttamente le cose occorre limitare inizialmente lo sguardo all’INPS, in quanto previdenza dei lavoratori dipendenti privati. Occorre ricordare che fin dal 1995 (ovvero 18 anni fa con la riforma Dini) il metodo di calcolo è il contributivo, cioè la pensione viene calcolata con concetti di riserva matematica legati all’età di pensionamento ed alla aspettativa di vita. Il residuo delle ultime pensioni erogate con calcolo pienamente retributivo sarebbe stato erogato non oltre il 2017, per una parte limitata di soggetti. Inoltre, considerando l’enorme costo del riscatto della laurea a partire dal 1983, si può con buona approssimazione ritenere che tali soggetti o sarebbero lavoratori non laureati che hanno iniziato a lavorare a 18 anni, e quindi ora avrebbero 58-60 anni, oppure laureati comunque di età superiore ai 62 anni previsti dall’attuale norma relativa alle cosiddette “quote”. Infine dal punto di vista del rapporto economico tra contributi versati e montante pensionistico totale erogato fino alla morte, mediamente tale rapporto risulta uguale o maggiore di 1.Il che vuole dire che l’INPS ripaga i contributi versati senza aiuto della fiscalità, ovviamente escluse le pensioni-baby (che non esistono più) e le pensioni dei manager che hanno fatto una progressione economica notevole (ma meno del 1% dichiara un reddito superiore a 100.000 euro!!).
Una delegazione della Rete dei Comitati composta da Carlo Barchiesi, Giuseppe Bruno, Salvatore Carpentieri, Geppino Di Marzio, Silvana Garzia, Felice Giuliano, Marcello Luca, Daniele Martella ed Antonio Polimene ha incontrato a Roma, nella sede parlamentare di via del Pozzetto, l’onorevole Aniello Formisano, Capogruppo del Centro Democratico.
Contrariamente a quanto previsto, non ha potuto intervenire all’incontro l’on. Tabacci, perché contemporaneamente impegnato nei lavori della Commissione Speciale.
In un clima di spontanea cordialità, di proficuo scambio e di manifesto interesse, la Rete ha consegnato all’on. Formisano una copia del Dossier, già inviato a fine marzo a tutti i parlamentari di Camera e Senato eletti nella presente Legislatura, proseguendo poi con l’illustrazione dei contenuti dello stesso, evidenziando, in particolar modo, la esclusione di intere categorie dalla salvaguardia (licenziati senza accordi) e la durezza discriminatoria di genere con cui sono state colpite le donne per la repentinità drastica dell’adeguamento di età donna-uomo e le conseguenze che ne scaturiscono.
Continua il dibattito sugli esodati, il problema più grave che la Fornero lascia in eredità alla XVII legislatura. Sul tema pubblichiamo un documento ricevuto dal rappresentante di un Comitato di Esodati, il Comitato Esodati e Precoci d'Italia, documento inoltrato ai parlamentari componenti la Commissione Speciale istituita per il “controllo di atti urgenti del Governo” dai Presidenti delle Camere.
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Gli esodati chiedono modifiche ai due ministeri competenti per la riscrittura del decreto interministeriale attuativo delle misure di salvaguardia per gli “esodati” definite nella legge di stabilità prima che il 2 aprile la commissione Speciale inizi i suoi lavori.
Il decreto attuativo interministeriale deve solo rispettare la legge di stabilità n. 228 perché è un decreto in attuazione di quella legge.
Vanno poi chieste altre modiche legislative al Parlamento , come abbiamo segnalato nel dossier inviato il 19 aprile, e perciò occorrono un governo e una legislatura che durino e un parlamento che lavori.
La Ministra del Lavoro ha modificato nel decreto attuativo della legge di stabilità la parte relativa ai contributi volontari lettera b) pag. 5 del decreto.
La differenza è notevole . Nel decreto la frase evidenziata sotto in grassetto "successivamente alla data del 4 dicembre 2011"è diventata: "dopo la data dell’autorizzazione alla prosecuzione volontaria" rendendo impossibile l’accesso alla salvaguardia a coloro che, ottenuta l’autorizzazione INPS da tempi lontani, dal 2007 fino al 4 dicembre 2011, abbiano svolto un qualche lavoro retribuito anche saltuario.
La rete dei comitati degli esodati ci ha inviato uno studio molto articolato in cui si approfondiscono gli effetti della famigerata riforma Fornero e si individuano le vie di uscita per superare il caos giuridico che si è venuto a creare.
Pubblichiamo il capitolo più importante dello studio, quello relativo alle proposte, perché consideriamo un dovere civico dare ogni possibile contributo alla conoscenza e alla risoluzione della questione.
Chi volesse conoscere il testo integrale potrà richiederlo scrivendo a “Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
”.
Il dossier è stato inviato a tutti i parlamentari sottolineando l'urgenza di risolvere il problema. Un problema che in un Paese normale non sarebbe mai sorto.
Solo in Italia poteva succedere che una ministra, dopo avere fatto una riforma che ha sconvolto la vita di centinaia di migliaia di persone e che ha calpestato i diritti di milioni di cittadini, confessasse di non essere stata informata sulle implicazioni che la riforma da lei varata avrebbe potuto comportare.
Eppure non era difficile informarsi. Avrebbe potuto chiedere all'INPS, alle Confederazioni sindacali, ai colleghi del Consiglio di gestione di Intesa San Paolo, visto che aveva anche un ruolo in quella banca.
Pubblichiamo un altro documento dei Comitati degli esodati. La battaglia che hanno intrapreso per il riconoscimento dei loro diritti è una battaglia che porteremo avanti insieme a loro in via assolutamente prioritaria nella prossima legislatura.
Il problema degli esodati non è solo un problema sociale di grande spessore, in quanto coinvolge, fra lavoratori e famiglie, oltre un milione di cittadini. Ma è anche un problema di civiltà giuridica che l’Italia, un tempo patria del diritto, non può permettersi di trascurare.
La Fornero,fortunatamente, fra un mese uscirà definitivamente da una funzione alla quale non avrebbe dovuto mai essere chiamata.
Il ministro che le succederà dovrà porre riparo ai guasti che le sue riforme hanno causato ai lavoratori, alle imprese e a tutta l’economia italiana.
Il problema degli esodati è il primo che sarà chiamato ad affrontare e a risolvere(e.n.)
LA RETE DEI COMITATI DEGLI ESODATI CHIEDE UNA SOLUZIONE CONDIVISA.
PREMESSA:
La RETE dei COMITATI di Esodati, Mobilitati, Contributori Volontari, Quindicenni, Fondi di settore e Donne Esmol, con questo documento, che viene consegnato ai candidati parlamentari che incontriamo in questa campagna elettorale, vuole ribadire la sua volontà di collaborazione con le forze parlamentari per la ricerca di una soluzione condivisa e definitiva alla cosiddetta “questione degli esodati” (e degli esodandi), rinnovando la propria volontà di collaborazione con le forze politiche nella condivisione di un percorso che possa definire, dopo le elezioni ed attraverso la ripresa di contatti permanenti, una fase di ascolto che porti a formulare le nuove proposte per:
Riceviamo dai Comitati degli esodati un documento che propone delle ipotesi di soluzione ai problemi lasciati dalla infausta riforma Fornero. Una riforma che è il peggiore lascito del governo dei tecnici in quanto trae origine da una impostazione che è un misto di arroganza, di insensibilità, di superficialità e di vera e propria ignoranza delle situazioni sulle quali si andava a legiferare. Il documento è indirizzato al PD, ma, evidentemente, si rivolge a tutti i partiti che hanno nel proprio dna la difesa dei diritti dei lavoratori e la giustizia sociale.
Alla politica rimane ora il compito di risolvere con senso di responsabilità e con spirito di servizio i problemi creati dall’Esecutivo Monti (e.n.)
LA RETE DEI COMITATI DEGLI ESODATI CHIEDE AL PD UNA SOLUZIONE CONDIVISA.
PREMESSA:
La RETE dei COMITATI di Esodati, Mobilitati, Contributori Volontari, Quindicenni, Fondi di settore e Donne Esmol, con questo documento, che viene consegnato ai candidati parlamentari che incontriamo in questa campagna elettorale, vuole ribadire la sua volonta’ di collaborazione con le forze parlamentari per la ricerca di una soluzione condivisa e definitiva alla cosiddetta “questione degli esodati” (e degli esodandi), rinnovando la propria volonta’ di collaborazione con le forze politiche nella condivisione di un percorso che possa definire, dopo le elezioni ed attraverso la ripresa di contatti permanenti, una fase di ascolto che porti a formulare le nuove proposte per:
1. GLI ESODATI NON SALVAGUARDATI: l’estensione degli interventi di salvaguardia per TUTTI coloro che avevano stipulato accordi precedentemente all’entrata in vigore della manovra Fornero per i quali devono applicarsi le regole di pensionamento vigenti all’atto della loro sottoscrizione; per i licenziati, individuali o per fallimento aziendale o altro, che avrebbero maturato il requisito pensionistico in un ragionevole lasso di tempo dal licenziamento deve essere assicurata la possibilità di conseguire il diritto alla pensione con le norme vigenti al momento della cessazione del rapporto di lavoro; per i “quindicenni” si chiede che venga applicato il requisito anagrafico previgente la riforma Fornero.
2. I NUOVI ESODATI: il ripristino del patto di sicurezza sociale Stato-cittadino e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge, riformulando in modo più giusto ed equo l’impianto della riforma previdenziale, rivedendo in senso più graduale nel tempo l’entrata in vigore delle nuove norme pensionistiche.
La Fiat che abbiamo conosciuto sino a qualche tempo fa, quella che ho conosciuto anche io, prima da segretario dei metalmeccanici e poi da segretario della Uil, era una fabbrica italiana, anzi era una fabbrica piemontese. Al vertice c’era la Famiglia, identificabile in Gianni e Umberto Agnelli, la gestione era affidata a Cesare Romiti e a un gruppo di manager che avvertivano in maniera forte l’orgoglio di essere un pezzo fondamentale, il più riconoscibile e antico, del Made in Italy.
Un' azienda che considerava centrale la produzione di automobili nella propria strategia. Un' azienda che si identificava con la storia d’Italia. E, d’altro canto, Giovanni Agnelli senior è stato senatore a vita così come lo è diventato Vittorio Valletta. Umberto e Susanna Agnelli sono stati deputati. Cossiga nominò a sua volta l’Avvocato Gianni Agnelli senatore a vita. La Fiat non solo si sentiva profondamente italiana ma si sentiva un pezzo decisivo dell’Italia. Ci sono stati momenti in cui Gianni Agnelli si è preoccupato di difendere questa identità.
Da un gruppo di lettori riceviamo e pubblichiamo
L'argomento è complesso e ci riserviamo di ritornarci con articoli e proposte. Al momento riteniamo doveroso evidenziare che è indiscusso che la riforma Fornero ha lasciato centinaia di migliaia di persone che avevano sottoscritto accordi con la propria azienda sulla base della normativa vigente senza stipendio e senza pensione, con una superficialità e una indifferenza per i problemi dei cittadini che lascia sconcertati sia sul piano etico che sul piano tecnico. Il nuovo governo dovrà necessariamente intervenire per correggere le storture della riforma che comporta gravi problemi sia per i lavoratori che per le aziende e mette in discussione la stessa credibilità dello Stato (ettore nardi)
RETE DEI COMITATI DEGLI ESODATI, MOBILITATI, CONTRIBUTORI VOLONTARI E LICENZIATI
Martedi’ 18/12/2012 al Senato e’ stata perpetrata l’ennesima vergognosa ingiustizia ai danni degli “esodati”:nonostante 3 ordini del giorno sul problema, generato dalla iniqua, non graduale e retroattiva riformaprevidenziale Monti –Fornero, che avrebbero dovuto “impegnare il governo” a risolvere definitivamente laquestione, nonostante i 23 emendamenti al DDL di stabilita’ proposti da vari partiti, molti dei quali firmatiquasi unitariamente dalle forze politiche presenti in parlamento, la questione “esodati” e’ stata definitivamentecassata con un nulla di fatto: gli ordini del giorno disattesi e i 23 emendamenti respinti hanno segnato, alla fine di questa legislatura, la pietra tombale del problema che ha gettato nella disperazione e nell’incertezza delfuturo oltre 390000 soggetti (e le loro famiglie) di cui, forse, solo 130000 vedranno la fine dell’incubovedendo riconosciuta la loro salvaguardia.
La riforma previdenziale Fornero si pone come la piu’ vergognosa delle azioni del governo Monti,perpetrata ai danni di lavoratori che, espulsi dal mondo del lavoro a causa di crisi aziendali, avevanoindividuato un percorso che, stanti le norme vigenti al momento dell’esodo e/o della firma degli accordi,li avrebbe portati in un ragionevole lasso di tempo a maturare il requisito pensionistico.
Una riforma il cui motivo dichiarato era quello di “mettere in sicurezza” i conti dell’INPS quando gli stessi erano gia’ stati dichiarati sostenibili almeno fino all’anno 2050 per effetto delle precedenti riforme previdenziali, e che in realta’ aveva il solo scopo di “fare cassa”; una riforma realizzata in modo:
La firma dell’Accordo sulla produttività è certamente una buona notizia. Al di là delle valutazioni sulle singole norme, i principi sono sicuramente in linea con le esigenze del Paese.
Ridurre il cuneo fiscale avrebbe dovuto essere un obiettivo primario dell’Esecutivo. Ricordiamo che il governo Prodi, nel 2006, in una fase altrettanto difficile della congiuntura economica, pur con risorse scarse, adottò come primo provvedimento un taglio del cuneo, misura che non è stata seguita da altre analoghe. Berlusconi, infatti, preferì utilizzare i fondi disponibili per altri obiettivi, destinandoli alla difesa dell’Alitalia dall’ "assalto" di Air France e alla riduzione dell’ICI. Provvedimenti graditi all’opinione pubblica che, però, non hanno avuto alcun effetto positivo sulla economia.
Oggi si torna al passato, anche se con colpevole ritardo, visto che lo stesso Monti ha impiegato dodici mesi ad accorgersi del problema. Troppi per un economista del suo rango.
Altro elemento positivo è la valorizzazione della contrattazione di secondo livello e il collegamento dei salari alla produttività. L’effetto di stimolo della norma per una maggiore competitività è talmente evidente che non richiede spiegazioni ulteriori.
La ministra del Welfare Elsa Fornero è di nuovo alla ribalta della cronaca politica.
L’INPS ha certificato in modo ormai ufficiale che i lavoratori che avrebbero diritto ad andare in pensione sulla base delle vecchie regole secondo il decreto Salva Italia e il Milleproroghe sono 390.200 e non i 65.000 che il Governo ha salvaguardato con il decreto ad hoc emanato nelle scorse settimane.
La Fornero, invece di ammettere l’errore e di chiedere scusa agli Italiani impegnandosi nel contempo a ricercare una soluzione, ha emesso una nota adirata nella quale ha “disapprovato” la diffusione del documento.
È stupefacente che un ministro, di fronte a un disastro di tal genere, rivendichi il diritto di non far conoscere ai cittadini le vere dimensioni di un fenomeno che comporta gravissime conseguenze sociali ed economiche.
La cosa è ancora più grave perché proviene da un ministro tecnico, che dovrebbe dare piene garanzie sul piano della affidabilità. Invece, dopo il pastrocchio dell’art. 18 in cui è stata capace di sostenere tesi contrastanti, a giorni alterni, con una pervicacia degna di miglior causa, e con una credibilità inversamente proporzionale alla aggressività delle dichiarazioni, ora la Fornero concede il bis sugli esodati.
Nella discussione al Senato del Disegno di Legge sul Lavoro potrebbe essere approvata una norma che modificherebbe radicalmente i rapporti fra aziende e dipendenti. Su proposta congiunta dei due relatori, Maurizio Castro del PDL e Tiziano Treu del PD, sta per essere approvato un emendamento volto a introdurre nel nostro ordinamento la partecipazione alla gestione e agli utili delle aziende.
Dopo oltre sessanta anni probabilmente sarà data attuazione all’art. 46 della Costituzione. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che, da sola, potrebbe incidere sul futuro dell’economia italiana molto di più di tutta la riforma del mercato del lavoro. Ed è una innovazione che potrebbe essere approvata alla larghissima maggioranza o, addirittura, alla unanimità, visto che è stata proposta congiuntamente dai due relatori.
La ministra Fornero ne ha fatta un’altra. Dopo tre mesi di riflessioni e di approfondimenti ha emanato un decreto sugli esodati che copre solo 65 mila lavoratori, senza preoccuparsi della sorte di altre decine di migliaia di persone che rischiano di rimanere senza stipendio e senza pensione, a causa di una riforma delle pensioni fatta senza tenere conto delle situazioni reali che si andavano a regolamentare. La cosa che lascia più perplessi è il commento del ministro: “Mi prendo tutta l’impopolarità di un provvedimento impopolare”. In realtà, il provvedimento non è impopolare. È tecnicamente sbagliato. Il che, considerato che stiamo parlando di un governo tecnico e di un ministro tecnico, è davvero singolare.
La Fornero ha fatto due errori. Quando ha preparato la riforma previdenziale ha sottovalutato il problema. Quando, dopo le proteste dei sindacati e le inchieste giornalistiche, ha compreso che si trattava di una questione grave l’ ha affrontata come una questione di numeri da far quadrare e non ha capito che, invece, era una questione di diritti da far rispettare.
Il ministro del Welfare Elsa Fornero continua a imperversare sui media, con dichiarazioni non protocollari e con affermazioni non meditate.
Nell’ultima esternazione arriva a minacciare “se la riforma non dovesse passare andremo a casa” e aggiunge “abbiamo lavorato bene” e ancora “la riforma ha un suo equilibrio e una valenza generale”.
Sono tre affermazioni che richiedono qualche puntualizzazione.
Da un ministro tecnico ci si aspetta una valutazione tecnica. “Abbiamo lavorato bene” è un giudizio soggettivo che non ha alcun significato. E, nel merito della riforma, ci sono stati alcuni errori proprio sul piano tecnico che ancora pesano sul destino del provvedimento e che hanno indebolito il governo di fronte alla pubblica opinione e di fronte agli osservatori internazionali.
Dopo quasi cinque mesi dal giuramento si può dire che il provvedimento più incisivo del governo Monti per la riduzione della spesa pubblica è stato il decreto “Salva Italia”. E nell’ambito di quel decreto le misure che hanno maggiormente contribuito al riequilibrio dei conti sono state quelle sulla previdenza. È grazie ai sacrifici dei pensionati e dei pensionandi che l’Italia ha fatto un passo importante sulla via del risanamento. Ma lo ha fatto a spese della categoria più debole senza alcuna misura di compensazione e senza alcun onere di pari livello a carico di altri settori della società. Il Governo Monti ha modificato profondamente e peggiorato, come mai era avvenuto in passato, il sistema previdenziale. Si è operato un taglio rilevante e strutturale alla spesa pubblica. Si sono ridotte le pensioni. Non ci sono operazioni di riequilibrio.
È finita come era prevedibile e ragionevole che finisse.
Il giudice può decidere il reintegro del lavoratore anche in caso di licenziamento oggettivo, qualora accerti la insussistenza del motivo economico addotto.
Una soluzione diversa sarebbe stata incoerente con l’impianto complessivo del provvedimento e in contrasto con i principi generali dell’Ordinamento e con la stessa Carta costituzionale. E avrebbe avuto l’unico risultato di avviare un contenzioso infinito che, poi, avrebbe prodotto la stessa evoluzione per via giurisprudenziale.
È incredibile che ci siano associazioni imprenditoriali che protestano per la violazione degli accordi. In effetti, le modifiche che rendono il nuovo art. 18 molto più facile da accettare servono solo a chiarire con maggiore precisione i concetti.
L’impianto della norma, infatti, rimane immutato.
Tornando a Roma dal viaggio in Cina il Presidente del Consiglio troverà sulla scrivania l’art. 18 in una formulazione ancora provvisoria.
La bozza elaborata a seguito delle trattative con le Confederazioni sindacali non è ancora quella definitiva. In questi giorni si è discusso molto, ma, sostanzialmente, non si sono fatti passi in avanti. Il ministro del Welfare, evidentemente, si rende conto della fragilità della costruzione messa in piedi, e, quindi, non affretta i tempi e rinvia una scelta definitiva.
Di motivazioni per giustificare il ritardo ce ne sono tante, dalla opposizione ferma della CGIL ai ripensamenti di UIL, CISL e UGL e alla vera e propria rivolta dei sindacati di categoria.
Ci sono, poi, le dichiarazioni contrarie della Conferenza Episcopale Italiana e l’opposizione della maggioranza del Parlamento, dal momento che assieme al PD sono contrari al nuovo art. 18 Italia dei Valori e la Lega e nello stesso PDL i dubbi e le perplessità diventano sempre più forti.
Ma negli ultimi giorni c’è un altro motivo che probabilmente spinge il governo a essere meno fermo nella difesa del testo.
La materia è regolamentata dalla legge 12/11/2011 n. 183
Alcuni commentatori in questi giorni si stanno esercitando con ipotesi divergenti sulla possibile estensione della nuova disciplina sulla licenziabilità per motivi economici o per motivi disciplinari anche ai dipendenti statali. Anche la ministra Fornero è apparsa incerta, in quanto prima ha affermato che il nuovo art. 18 si applicava anche ai dipendenti pubblici e poi che al momento la normativa non era applicabile.
In effetti, la modifica dell’art. 18 non cambia assolutamente nulla per il settore pubblico.
La non licenzi abilità degli statali non trae origine dallo statuto dei lavoratori, ma risiede nello stesso rapporto di pubblico impiego che ha sempre previsto per i dipendenti pubblici particolari guarentigie.
Senza andare più indietro nel tempo, basta rileggere il DPR 10/1/1957 – Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato per rendersi conto che la modifica dell’art. 18 non ha alcuna incidenza in questo comparto
Alla fine Monti si è arreso. Anche se i comunicati ufficiali continuano a dire che sull’art. 18 non cambia nulla, in realtà con la formula del “salvo intese” e con il ricorso al disegno di legge ha aperto la strada a modifiche che potranno rendere accettabile la nuova disciplina anche ai lavoratori e ai sindacati.
Un passo avanti ufficiale, in realtà, l’esecutivo lo ha fatto già, in quanto il comunicato ufficiale dice al 2° capoverso “Al fine di evitare la possibilità di ricorrere strumentalmente a licenziamenti oggettivi o economici che dissimulino altre motivazioni, di natura discriminatoria o disciplinare, è fatta salva la facoltà del lavoratore di provare che il licenziamento è stato determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, nei quali casi il giudice applica la relativa tutela”.
Premesso che ad oggi non c’è ancora un testo scritto e che potremmo scoprire una realtà diversa al momento di leggere i provvedimenti sulla Gazzetta Ufficiale, al momento le modifiche all’art. 18 non appaiono tali da giustificare il violento scontro in atto.
Ci sono tre tipologie di licenziamenti: licenziamenti discriminatori, licenziamenti disciplinari e licenziamenti economici.
Per i licenziamenti discriminatori non cambia niente. Sono nulli e il giudice non può che ordinare il reintegro dei dipendenti.
Per i licenziamenti disciplinari, con la vecchia normativa il lavoratore poteva scegliere fra il reintegro e un indennizzo pari a quindici mensilità, oltre al risarcimento del danno.
Con la nuova disciplina sarà il giudice a stabilire se concedere il reintegro o l’indennizzo per il quale viene fissato un tetto di 27 mensilità.
Per i licenziamenti economici, invece, il lavoratore potrà ottenere solo un indennizzo da 15 a 27 mensilità ma non il reintegro.
La trattativa sul mercato del lavoro è formalmente conclusa, anche se rimangono margini per ulteriori aggiustamenti.
La formula della sottoscrizione del verbale lascia aperti spiragli per modifiche dell’ultimo minuto che, pur lasciando immutata la intelaiatura dell’Accordo, potrebbero venire incontro alle osservazioni della CGIL che, fino all’ultimo, è rimasta su una linea di ferma contrapposizione.
E lo strumento del disegno di legge o della legge delega potrebbe portare alla approvazione di emendamenti migliorativi in Parlamento.
Come era prevedibile lo scoglio è stato l’art. 18 in quanto su contratti e ammortizzatori sociali l’intesa era acquisita da tempo, pur con riserve e perplessità da parte di alcune Organizzazioni.
Ha inciso fortemente il valore simbolico dell’innovazione che da un lato ha indotto il governo a irrigidirsi sulle sue posizioni, dall’altro ha costretto la CGIL a rifiutare qualsiasi ipotesi di mediazione.
La settimana che si apre dovrebbe essere decisiva per la riforma sul mercato del lavoro. Le dichiarazioni polemiche in cui si stanno esercitando tutti i protagonisti non devono trarre in inganno. Nelle fasi finali di una trattativa sindacale si accendono sempre violenti contrasti fra i partecipanti. Sono schermaglie tattiche volte a strappare ulteriori concessioni nella fase di chiusura.
La sensazione è che nonostante le polemiche, l’intesa non sia lontana. Anche se in una trattativa così ampia con tanti interessi in gioco non è da escludere fino all’ultimo momento che si incontri un punto che si riveli non negoziabile per una delle parti e faccia saltare l’intero accordo.
Fare previsioni su una trattativa così complessa come quella in corso sul mercato del lavoro è molto difficile.
Alcuni segnali inducono a vedere l’intesa vicina.
Nonostante i contrasti anche accesi il tavolo ha retto e tutti i partecipanti mostrano di avere interesse ad evitare una rottura.
Le dichiarazioni abbottonate dei protagonisti lasciano ritenere che i bilanciamenti fra le varie questioni aperte potrebbero portare nei prossimi giorni a uno scambio di reciproche concessioni con esito favorevole della trattativa.
È stato sufficiente uno studio di Eurostat per spostare l’attenzione di osservatori e media italiani dall’art. 18 agli stipendi dei lavoratori italiani.
Improvvisamente, si è scoperto che le retribuzioni nel nostro paese sono molto inferiori a quelle dei paesi concorrenti. E il confronto è negativo non solo con Francia, Germania, Austria ma anche con Paesi in crisi quali l’Irlanda, la Grecia, la Spagna e, perfino, Cipro. Era, in realtà, una situazione già nota, anche prima di conoscere le cifre pubblicate dall’Istituto di statistiche europeo. Una situazione che trae origine da un gigantesco trasferimento di reddito dai lavoratori dipendenti ad altre categorie, imprenditori, commercianti, liberi professionisti che è avvenuto soprattutto in concomitanza con l’avvento dell’euro.